A fine Giugno sono andato a un evento crypto e ne sono rimasto molto deluso. Di per sé basterebbe questa prima frase per raggruppare tutte le cose negative di quella giornata, invece mi va di raccontarvi qualcosina di più.
Leggo di questa manifestazione sui social. Nel particolare, su Instagram. Inizio a seguire il profilo, ed è una sequela di storie e reel che shillano ospiti e nient’altro. Tolti i soliti Crypto influencer che bene o male sono presenti ad ogni manifestazione del genere, balza alla mia attenzione un progetto in particolare: non si parla d’altro. Si sa poco o nulla dei progetti coinvolti, di come sarà organizzata l’esposizione. Vado sulla sezione ticket, clicco su acquista e, piacevole sorpresa, posso pagare in cryptovalute grazie al servizio di pagamento di Crypto.com. Clicco, niente. Refresh, qualcosa si muove: per pagare in crypto contatta il servizio clienti a questa email. Scrivo l’email e la invio. Vabbè, mi dico: pago con la carta, secondo me sta cosa del pagare in crypto non funziona. Così acquisto il ticket (pagamento rapido e senza inciampi) e mi arriva l’email di conferma.
L’evento si svolgeva su quattro giorni, dal giovedì alla domenica. Decido di andare il venerdì. La mattina della partenza faceva caldo e l’autostrada era sgombra. In un paio d’ore sono a Milano: giungo nel luogo dell’evento e parcheggio con relativa semplicità. Arrivo ai cancelli e nemmeno il tempo di capire dove dirigermi, una hostess mi corre incontro: “Ti lascio questo volantino. se inquadri il QR, puoi scaricare un NFT dal valore di 25€. Mi servono solo i tuoi dati e la tua email”. Non le lascio finire la frase che la ringrazio e che no, non mi interessa, davvero. Poi fuggo a gambe levate.“Partiamo male”, mi dico.
Passeggio nel luogo che ospita l’evento. Ma io lo conosco sto posto.
Giungo all’entrata della sala esposizioni: c’è un bancone dove una ragazza chiede il codice che ho ricevuto per email per rilasciarmi il badge. Chiaramente ho acquistato il biglietto più economico, il Newbie. Forse è per quello che vengo relegato in un angolo mentre tutti mi passano avanti. Dopo dieci minuti, il collega si accorge della mia nefasta presenza.
Hai bisogno?
Si, vorrei il mio badge.
Ah, ok, si. Hai ragione.
Si volta, raccoglie un cartoncino dal tavolo e, tenendolo con la punta delle dita come gli facesse schifo, me lo porge.
Ciao.
Ciao.
Entro nella sala principale. Subito il sushi nell’area ristoro attira la mia attenzione. Molto presto scoprirò che il ragazzo all’entrata dell’area sarà famelico nello scovare i newbie come me per impedirgli di avvicinarsi a quel ben di Dio. E pensare che il mio ticket è costato 87€, grazie allo sconto promozione di un influencer. Altrimenti scollinavamo ampiamente i 100€. Un pezzo di sushi caduto a terra me lo meritavo a prescindere.
Mi suona il telefono. Una email. Sono loro, quelli dell’expo.
Ciao Ema, grazie per aver fatto richiesta di pagamento tramite cryptovalute. Per eseguire il pagamento segui questo procedimento.
Cancello l’email, premendo con gusto l’icona del cestino. Potevano scrivermi direttamente lunedì mattina. Inizio a passeggiare nella zona esposizione e dopo dieci minuti, avevo già finito. Ho contato sedici stand, di cui interessante solo uno. Nel particolare hanno attratto la mia attenzione un protocollo (sigh!) che ti permetteva di far competere due token nei successivi trenta secondi. Non avete capito? Provo a spiegare meglio.
Due giocatori, uno contro l’altro. Uno sceglie, ad esempio, BnB. L’altro Ethereum. Scommettono entrambi una cifra x. A BnB viene attribuito l’uomo banana, a Ethereum il cowboy. Sono ai nastri di partenza, la pista olimpionica è quella dei centometristi. In trenta secondi, la cryptovaluta che performa meglio sul mercato, arriva prima al traguardo. Chi vince, guadagna la posta completa. E una carota. Infatti era da un pezzo che mi chiedevo perché ci fossero dei ragazzi che giravano per lo stand con delle carote negli zaini, o in mano, o nella tasca dei pantaloni.
Ho persino creduto fosse un vezzo da malati di cryptovalute che io non conoscevo. La realtà era ben diversa.
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Dopo aver visto un paio di gare tra stupidi omini travestiti, inizia la prima conferenza: vado a sentire di cosa parlano. E qui devo ammettere che sono rimasto piacevolmente sorpreso perché parla un avvocato molto competente: vengo attratto dal suo discorso sulla libertà finanziaria e il controllo statale. Purtroppo un organizzatore si avvicina con fare minaccioso e interrompe il discorso del relatore continuando a battere con l’indice sul quadrante dell’orologio. Il tempo è finito, motherfucker.
Finita la conferenza mi alzo e decido di girovagare ancora un pò, ma dopo dieci minuti sono al punto di partenza. L’uomo banana sembra imbattibile. Mi dirigo un pò di volte al bagno per spezzare la noia simulando una certa incontinenza, poiché l’alternativa, agli occhi di chi mi vedeva, poteva essere solo la cocaina. Invece appiccicavo nei gabinetti QR code che, se inquadrati, portavano direttamente al link di CryptoDistortion. Era diventata la mission principale dell’evento: incollare QR nei posti più in vista senza farmi beccare.
Esco, fa caldo. Attacco un QR all’insegna principale e a un cestino della spazzatura. Poco distante c’è un’area ristoro: QR appiccicato alla putrella. Sono una macchina da guerra.
“Masterchef!” urlo tra me e me. “Cazzo, qui ci girano Masterchef, ecco dove ho già visto questi muri di mattoni!”
E infatti non era lì che giravano masterchef ma un isolato più in là. Ma il complesso è comunque quello. Ecco spiegato perché vedevo ciondolare, nel caldo milanese, addetti TV e impiegati disperati che saltavano da una zona d’ombra all’altra.
Ora di pranzo. Non sapevo ancora della mia condizione sociale di paria, già pregustavo il sushi. Coda per entrare nella zona ristoro, ma mi cade l’occhio sui badge altrui. Tutti superiori al mio. Mi avvicino silenzioso, per quanto possa avvicinarmi silenzioso io, maschio bianco eterosessuale di un metro e novanta con una maglietta arancione. E infatti vengo placcato dal famelico controllore che, a tre metri di distanza, mi fissa il badge al collo, sorride con una sola punta di labbro e mi fa capire di levarmi dai piedi alla svelta. Così il sushi rimane là. E io orfano a guardarlo, dicendomi che meglio così, in mezzo a quel marasma chissà quanti germi ci finiscono sopra. Che schifo. La volpe che non arriva all’uva.
Eh, che schifo.
Bevo un sorso dalla mia borraccia bianche con le stelline gialle. Cosa potrei fare? Gli adesivi con il QR code li ho spiaccicati ovunque. Mangiare non si può mangiare. Il giro degli stand l’ho già fatto dieci volte, fuori cinquanta gradi. Mi ferma un ragazzo. Non so se fosse dell’organizzazione o di qualche progetto collaterale. Posso farti una foto?
Certo che no.
Ah, ok.
Tengo alla mia privacy.
Mi guarda come si guarda un idiota.
Ah. E cosa fai nella vita?
Lavoro
Ammetto che non devo essere apparso simpatico, ma ormai ero totalmente sulla difensiva. Avevo speso ottanta euro di biglietto, una ventina di gasolio e stavo soffrendo il caldo.
Investi in Crypto?
Si.
A quel punto, giustamente, si è girato e s’è trovato un collega con cui scambiare due parole per liquidarmi. Meglio così.
Ormai è finita. C’è chi mangia, c’è chi fuma nel giardino esterno. Vago ancora un poco, cercando di immaginarmi gli studi di Masterchef con Canavacciuolo che urla “mancano quattro minuti”. Mi dirigo verso l’uscita, i due ragazzi dell’NFT sono sempre lì. Un moto di compassione si smuove, ore sotto il sole a propinare spazzatura, per un attimo vorrei regalargli ogni mio dato sensibile, ma la ragione prevale ancora. Passo dritto, un cenno di saluto con il mento, ma non gli do modo di attaccare bottone.
L’auto è parcheggiata davanti alla questura. Nessuno in giro, solo monopattini e scooter elettrici in mezzo ai piedi sul marciapiede. Salgo sull’auto, dopo una ventina di minuti sono in autostrada. Sta per iniziare il Bitcoin Cafè su Twitter. Mi connetto mentre sulla mia destra, dalle parti di Tortona, impazza la bufera.
Mi fermo all’autogrill di Dorno, voglio comprare qualche Starbucks alla mia compagna, lasciata sola, incinta, in balia di un teppistello, per vivere quanto narrato sopra. Mi sento in colpa. Le acquisto un caffè latte extrazuccherato, una cioccolata fredda extrazuccherata e un mocaccino extrazuccherato. Torno in macchina mentre sul Bitcoin Cafè un utente comincia a raccontare la sua disastrosa esperienza al Crypto Expo di Milano. Per un secondo mi viene voglia di intervenire anche a me, ma purtroppo la vergogna per il mio accento genovese, per quanto sforzi di fregarmene, mi ha sempre frenato dal parlare in pubblico.
L’accento genovese è una roba bestiale. Lo ammetto. E’ che nemmeno me ne accorgo di parlare così, per me è assoluta normalità usare la cadenza della Repubblica che per secoli ha dominato i mari di tutto il mondo.
Ho fame. Mi fermo all’autogrill successivo, quello che ha il sottopassaggio che ti porta al McDonalds. Entro, ordino e non hanno più nulla. Mi propinano un panino che sembra essere lì da mesi: freddo, mollo, cattivo. Una bestialità. Lo trangugio con l’aiuto dell’acqua. Ormai sono inerme a ogni torto che la vita può riservarmi. Risalgo in macchina e mi telefona un cliente. Vuol dire caricare la merce e allungare il viaggio di quasi un’ora tra andata e ritorno.
Pazienza. Ormai la giornata è persa.
Non so nemmeno come finire questo pezzo. Di sicuro sarà dura vedermi a un altro evento dal vivo, sono rimasto scottato. Credo, anzi ne sono sicuro, che non tutte le manifestazioni siano così brutte, ma il ricordo di questa, in particolare, mi basterà per tenermene alla larga per un bel pò.
Tranne che venga invitato a parlare in qualità di speaker. In quel caso, me ne terrò alla larga a causa del mio accento.